Noemí Ulla

L' intervista

 

«Sono arrivata a Buenos Aires alla fine degli anni Sessanta. Venivo da Rosario, città non piccola, ma comunque di provincia, e avevo grandi sogni...», la voce di Noemí Ulla graffia la penombra del salottino della sua casa all'undicesimo piano in calle Moreno, a due passi dalla Casa Rosada. Alle pareti quadri e fotografie. Le tapparelle, come al solito, sono state abbassate per chiudere fuori il riverbero del rovente gennaio porteño . «Avevo appena esordito con un romanzo, Los que esperan el alba, risultato vincitore a un concorso a Santa Fe, il cui premio consisteva proprio nella pubblicazione; e poi con un saggio: Tango, rebelión y nostalgia , sui testi delle canzoni di tango.»

«Ma perché hai lasciato la provincia?» chiedo sorseggiando un dolcissimo caffè turco che Noemí mi ha appena servito insieme con un piatto di biscottini.

«Chi lo sa.» Capelli chiari, corti, abito bianco con una spilla sul petto; l'impressione di fragilità, che a prima vista suggerisce il viso minuto, è decisamente negata dal tono della voce con cui Noemí racconta pensieri, idee, desideri; ché regna un'atmosfera speciale in questa stanza. «Sicuramente Buenos Aires esercitava a quel tempo un grande fascino su una persona giovane: era una città splendida, le case editrici prosperavano, si traduceva molto, nascevano riviste.» Avverto nostalgia nelle sue parole. Ti capisco, vorrei dirle: la ricordo anch'io la Buenos Aires della fine degli anni Sessanta; tante volte mi torna in mente, così d'un tratto: certe vetrine illuminate di Florida, i pomeriggi alla Confitería Richmond con mia madre, le compere da Harrods, i teatri di Corrientes coronati da insegne luminose e rigurgitanti di gente. Com'è possibile che tutto quel fervore, che quel senso di progresso che allora si respirava in questa capitale sia di colpo sparito? Mi sembra incredibile confrontare la città dei miei ricordi col degrado attuale; e qualcosa nel mio cuore spera che Buenos Aires possa ritornare a galla.

«Cominciai a lavorare per il Centro Editor de America Latina» continua Noemí, «e poi mi misi a insegnare per mantenermi. Ma quello che mi stava veramente a cuore era altro: il mio interesse più profondo andava soprattutto alla scrittura creativa e, in particolare, al racconto fantastico. Però a quell'epoca nessuno voleva saperne: l'idea dominante era che la letteratura dovesse puntare sull'impegno e la denuncia sociale. Far volare l'immaginazione era considerato riprovevole. Perciò per la mia prima raccolta di racconti fantastici, Ciudades , che tra l'altro piacque tanto a Silvina Ocampo, venni ferocemente attaccata. “Ma come?” mi disse una volta un amico peronista, “Come può arrivare al fantastico una persona che ha scritto un saggio sulle letras de tango ?”. Così il libro, pronto nel 1974, dovette aspettare molti anni, fino al 1983, per essere pubblicato.»

Mi versa del marsala in un un piccolo bicchierino. C'è una gran pace. L'appartamento è silenzioso, eppure vagamente risonante, e quasi impregnato della grande città che lo circonda.

«Erano gli anni della dittatura. Un'esperienza tremenda per tutti. Ma gli intellettuali subirono una persecuzione particolare: certi libri furono proibiti, tolti dalle librerie e distrutti, moltissimi scrittori e giornalisti furono imprigionati o scomparvero. (...) Mi capitò in quegli anni di mandare uno dei miei racconti a un concorso nella cui giuria c'era anche Onetti. Il racconto ottenne il secondo premio. E sai quale fu il consiglio che mi diedero alcuni amici? “Non dire a nessuno che nella giuria c'era Onetti!”, mi dissero, perché si trattava di uno scrittore inviso per le sue idee politiche, tanto che poi dovette rifugiarsi in Spagna (...)»

da Laura Pariani, Il Paese dei sogni perduti. Anni e storie argentine, Ed. Effigie 2004.

 


 

 
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